Disturbi del linguaggio
La logopedia è la disciplina sanitaria che si occupa di prevenzione, valutazione e successivamente dell’abilitazione o riabilitazione delle fatiche e dei disturbi della comunicazione, del linguaggio, della voce, della deglutizione e degli apprendimenti scolastici (lettura, scrittura, calcolo). A seconda della compromissione di uno o più livelli ci si orienta nel definire il piano di intervento logopedico più opportuno.
Presso il Centro Geode è possibile trovare logopedisti che intervengono per favorire, potenziare e migliorare le abilità linguistiche e comunicative nei bambini che presentano difficoltà nel linguaggio oppure uno sviluppo comunicativo e linguistico atipico. Ci occupiamo anche di adolescenti e adulti che vogliano rieducare l’uso della voce, affrontare la balbuzie, imparare una spinta linguale efficace durante la deglutizione.
Il Centro Geode propone:
Il trattamento logopedico è un intervento che ha lo scopo di migliorare le abilità comunicative e linguistiche del bambino e serve quando si manifestano difficoltà di linguaggio (nell’espressione o nella ricezione) oppure difficoltà nella lettura, nella scrittura, nella comprensione del testo o in matematica.
Fornisce gli strumenti per potenziare le abilità carenti e delinea le strategie per un utilizzo più efficace delle capacità del bambino. Il trattamento logopedico è costruito a partire dalle specificità di ogni bambino e dagli elementi emersi in sede di valutazione iniziale. A seconda delle difficoltà riscontrate (di natura fonetico- fonologica, morfosintattica, narrativa, di fluenza…) verranno impostati piani di trattamento specifici, con obiettivi a breve, medio e lungo termine.
La figura del logopedista è un professionista che si occupa di intervenire sulle patologie e sui disturbi di voce, linguaggio e comunicazione, curando tali disturbi sia nei bambini che negli adulti. A seconda delle difficoltà del suo paziente, il logopedista del centro Geode può insegnare a emettere suoni e articolare le parole in modo corretto, oppure a sviluppare e usare consapevolmente la muscolatura della masticazione e della deglutizione: giochi di movimento della bocca, giochi con le carte, tombole, giochi dell’oca, giochi di ripetizione di parole e frasi, caccia all’errore, o anche giochi simbolici, letture animate, indovinelli ed altri esercizi linguistici.
Il trattamento si struttura tipicamente in incontri mono o bisettimanali della durata di circa 50 minuti l’uno; la frequenza e la durata viene concordata a seconda degli obiettivi logopedici e delle esigenze organizzative della famiglia. Il bilancio logopedico viene periodicamente aggiornato tramite follow-up di verifica del raggiungimento degli obiettivi prefissati e tra genitori, logopedista e insegnanti si instaura un dialogo utile a monitorare l’automatizzazione dei progressi raggiunti in sede di trattamento.
Oltre all’intervento mirato sul bambino, l’attività del logopedista prevede infatti la creazione di una rete di collaborazione con la famiglia e con la scuola per le eventuali attività di allenamento linguistico quotidiano suggerite dal logopedista e i rinforzi positivi utili a gratificare il bambino per gli sforzi compiuti. La seduta di trattamento logopedico da sola potrebbe infatti portare dei benefici che non vengono sufficientemente generalizzati se non si instaurano attenzioni quotidiane mirate al potenziamento dell’abilità linguistica in questione (es: automatizzare un suono appreso, ampliare il vocabolario, strutturare la frase…). Ricordiamoci che l’esperienza del linguaggio per il bambino avviene prevalentemente con gli adulti di riferimento e nei contesti abitualmente frequentati.
I momenti principali attraverso i quali si articola il lavoro del logopedista possono essere condensati in quattro fasi:
- L’anamnesi. É una visita preliminare con i genitori del bambino in cui si raccolgono informazioni sui primi mesi di vita e sulle modalità comunicative e linguistiche che il bambino adotta in ambiente familiare e della sua famiglia.
- La valutazione. È il momento in cui vengono somministrati test standardizzati per fasce d’età per valutare specifiche competenze. Questo tipo di valutazione fornisce degli indici quantificabili del grado di difficoltà del paziente. Inoltre, la conversazione e la semplice osservazione del bambino possono fornire ulteriori dati importanti. Alla fine della valutazione il logopedista stila una relazione sulla condizione del paziente: il bilancio logopedico. A questo punto, integrando i dati anamnestici e quelli risultati dalle valutazioni standardizzate e dall’osservazione, è possibile individuare eventuali aree critiche sulle quali è necessario intervenire e viene proposto un trattamento logopedico.
- La presa in carico. Fase in cui si sviluppa un piano d’intervento basato sull’alleanza terapeutica logopedista-paziente-famiglia: inizia la terapia con il paziente. L’obiettivo è quello di fornire trattamenti individuali personalizzati, in base alle necessità. Le sedute possono essere settimanali o bisettimanali e vengono svolti esercizi e giochi logopedici.
- Il test di controllo o conclusivo. Durante e a fine terapia il logopedista somministra nuovamente test per monitorare l’andamento della terapia. Ciò consente di tenere traccia dei risultati e dei progressi, della qualità e dell’efficacia dei programmi d’intervento, al fine di adattare e modificare l’intervento durante il percorso sulla base delle esigenze del paziente.
É importante ricordare che il logopedista presso il centro Geode lavora spesso all’interno di un’equipe multidisciplinare con altri professionisti della salute come il neuropsichiatra infantile, lo psicologo, lo psicoterapeuta e il neuropsicomotricista.
Per avere qualche informazione in più rispetto al trattamento del disturbo fonetico-fonologico puoi leggere questo articolo scritto da una nostra logopedista su una moderna rivista di pediatria: Difficoltà fonologiche: quando e come intervenire?.
Valutare significa attribuire il giusto valore a qualcosa. Anche nell’ambito della logopedia, dunque, questo processo è fondamentale per conoscere il bambino e le difficoltà che lo riguardano, analizzando le diverse variabili e il loro peso.
La valutazione logopedica comprende:
- colloquio anamnestico con i genitori per raccogliere informazioni sui primi mesi di vita e sulle modalità comunicative e linguistiche che il bambino adotta in ambiente familiare.
- Alcuni incontri di valutazione (in genere tre) nei quali il logopedista esamina le capacità conversazionali del bambino e il livello linguistico raggiunto tramite l’osservazione del gioco e la somministrazione di test standardizzati, dai quali emergono punti di forza ed eventuali fragilità.
- Incontro di restituzione con i genitori nel quale vengono quindi condivisi i dati raccolti durante la valutazione e durante il quale emergeranno le eventuali indicazioni per un percorso logopedico mirato, con la definizione di obiettivi, tempi e modalità di coinvolgimento dei genitori e della scuola.
A seguito della valutazione segue:
- la presa in carico: è l’inizio della terapia con il paziente. Fase in cui si sviluppa un piano d’intervento basato sull’alleanza terapeutica logopedista-paziente-famiglia. L’obiettivo è quello di fornire trattamenti individuali personalizzati, in base alle necessità. Le sedute possono essere settimanali o bisettimanali in base al percorso di cura condiviso.
- Il test di controllo o conclusivo. Durante e a fine terapia il logopedista somministra nuovamente test per monitorare l’andamento della terapia. Ciò consente di tenere traccia dei risultati e dei progressi, della qualità e dell’efficacia dei programmi d’intervento, al fine di adattare e modificare l’intervento durante il percorso sulla base delle esigenze del paziente.
Articolo della dott.ssa Francesca Brignoli
“Un verde ramarro correva al ruscello” oppure “tigre contro tigre”, alzi la mano chi non è stato mai invitato a pronunciare uno dei classici scioglilingua che tradizionalmente vengono proposti per verificare l’abilità di produrre la lettera R, uno dei fonemi più particolari e difficili da eseguire nella nostra lingua ma anche uno dei più presenti nelle parole del nostro vocabolario. Intorno ai 4 anni si stima che il 20% circa dei bambini non la
sappia ancora dire. C’è qualcosa che possiamo fare per favorirne la comparsa?
Per prima cosa osserviamo noi stessi: come pronunciamo la erre? Da manuale di fonetica la /r/ è un fonema vibrante alveolare sonoro, ciò significa che viene prodotta con la punta della lingua posizionata dietro gli incisivi superiori, in una posizione tonica ma nello stesso tempo elastica, tale per cui il flusso d’aria proveniente dai polmoni possa mettere la lingua in vibrazione (avete capito bene: la lingua non ha al suo interno un motorino che vibra, è l’aria che la fa muovere passando) mentre le corde vocali stanno producendo la voce e quindi anch’esse vibrando. Il resto della lingua va mantenuta ben contenuta dentro l’arcata dentale superiore in modo che non ci siano sfiati laterali e tutta l’aria possa essere convogliata, attraverso un canale centrale, verso la punta. Facile, no?
Per la maggior parte dei bambini produrre la /r/ è naturale e già un buon 50% è in grado di farla vibrare naturalmente entro i 3 anni. Alcuni bambini per quest’età avranno già adottato spontaneamente una R con vibrazione posteriore, la cosiddetta R moscia o R francese, in questo caso non è la punta della lingua a vibrare ma è una porzione mediana o posteriore che va ad incontrare il fondo del palato o le pareti faringee. Perché una o perché l’altra? Dipende dalla grandezza della lingua, dall’assetto delle sue fibre muscolari (la lingua è complessa e composta da una ventina di muscoli tra i suoi propri interni e quelli che la collegano alle altre parti della bocca). Un altro aspetto molto importante per la R è la lunghezza e lo spessore del frenulo sublinguale (quel filettino che vediamo sotto la lingua se la solleviamo): se è corto difficilmente avremo una R di punta.
Fin qui abbiamo parlato degli aspetti più meccanici ma non dobbiamo dimenticare che il livello di attenzione che il bambino ha verso la sequenza dei suoni che sente e produce può ritardare o favorire la loro corretta successione mentre parla. Questo aspetto crea un’importante differenza, per il logopedista, tra una questione puramente fono-articolatoria (non riesco a dire bene quella lettera ma la riconosco e so dove andrebbe messa nelle parole) e una questione fonologica (faccio fatica a capire dove esattamente dovrei mettere questo suono nelle parole, posso confonderlo con altri suoni). Nel primo caso basterà allenare i muscoli e la coordinazione della lingua, eventualmente con l’aiuto di uno spazzolino elettrico speciale, nel secondo caso si faranno dei giochi anche a livello di discriminazione uditiva per imparare a sentire e riconoscere la erre all’interno di stringhe di suono via via più complesse.
Nelle parole che usiamo quotidianamente possiamo trovare la R in prima posizione oppure tra due vocali, talvolta doppia o vicina ad altre consonanti (ramo, fiore, torre, pranzo, braccio, treno, drago, crudo, grande, fresco, porta, parco, merlo, morso, marcia…) le combinazioni sono veramente tantissime e ogni bambino potrebbe trovare più semplice eseguire la R in una certa sequenza di suoni piuttosto che in un’altra. Generalmente i bambini che non producono ancora la R tendono a sostituirla con la L o talvolta con la N, oppure la omettono cioè non la dicono.
Come capire se il nostro bambino è un buon candidato per sviluppare in autonomia la classica erre di punta? Se al posto della R dice la L ma facendogli dire velocemente TLA TLA TLA si sente in realtà un TRA TRA TRA e il bambino percepisce la differenza tra questi suoni, vedrete che la erre non tarderà ad arrivare, potreste facilitarne la comparsa tonificando la lingua con degli schiocchi (come quando si imita il suono del trotto del cavallo). Se invece il bambino ha sviluppato in autonomia una R posteriore e mentre parla la usa già in tutte le posizioni (iniziale, mediana, doppia, preconsonantica, postconsonantica) in maniera fluida e comoda va benissimo così, accettiamo e valorizziamo questa sua abilità; con la erre moscia si può fare tutto (anche diventare logopedista) se vostro figlio lo desidererà sarà sempre in tempo a provare a dire anche la erre di punta con il supporto adatto a lui e l’allenamento necessario.
Quando è meglio rivolgersi ad un logopedista? Se verso i cinque anni vostro figlio ancora sostituisce la R con la L oppure non marca proprio quella posizione nelle parole è utile portarlo da uno specialista che potrà valutare il quadro fonetico-fonologico generale ed eventualmente proporre delle attività utili in primo luogo a favorire l’attenzione sulla corretta catena dei suoni, abilità fondamentale per imparare a leggere e scrivere efficacemente.
Testo della dott.ssa Francesca Brignoli
Cosa accade nelle primissime fasi con la suzione?
La bocca è un luogo privilegiato di esplorazione del mondo per il neonato e già nella vita intrauterina, al quarto mese gestazionale, il feto succhia il dito e deglutisce liquido amniotico. Alla nascita il riflesso di suzione e il ritmo suzione-deglutizione-respirazione saranno di importanza vitale per il cucciolo. La buona riuscita dell’allattamento al seno dipende, per la parte tecnica, innanzitutto dalla forza con cui le labbra del bambino avvolgono il capezzolo, nell’appropriata zona dell’areola, per garantire una totale separazione fra l’ambiente della bocca e l’ambiente esterno. Solo grazie alla tenuta delle labbra, infatti, i movimenti di apertura e chiusura della mandibola (ovvero dell’arcata dentaria inferiore, edentula) producono le variazioni di pressione che portano alla fuoriuscita del latte dal seno materno. La lingua, che si può intravedere sporgere leggermente, appoggiata al labbro inferiore, segue i movimenti della mandibola e collabora alla spremitura del capezzolo con dei piccoli movimenti di leccamento. Per la bocca del bambino si tratta di un vero e proprio lavoro, faticoso ma prezioso, i cui effetti, a livello di tonicità muscolare, si vedranno anche nel tempo.
Come evolve la deglutizione nel bambino?
Intorno al quarto mese il riflesso di suzione si estingue e la lingua inizia ad assumere un ruolo più attivo: si muove maggiormente per estrarre il latte dal seno (anche se una parte fondamentale spetta ancora all’apertura e chiusura della mandibola) e dal sesto mese inizia a poter essere lateralizzata (la lingua può essere mossa a destra e a sinistra). In questo periodo avvengono dei cambiamenti strutturali importanti per la bocca del bambino, in particolare l’eruzione dei dentini incisivi, inferiori e superiori, che porta un freno alla fuoriuscita linguale e fornisce una guida per i nuovi movimenti della mandibola i quali pian piano verranno stabilizzati dall’uso e dalla presenza dei denti. La cavità della bocca si allarga, la laringe lentamente si abbassa nel collo e ciò crea una nuova geografia per i movimenti della lingua.
Cosa cambia con lo svezzamento?
Con le prime pappe il bambino tenderà a far uscire la lingua dalle labbra durante la deglutizione e potrebbe sembrare che rifiuti la pappa ma ha solo bisogno di prendere confidenza con questo nuovo tipo di alimentazione: per aiutarlo possiamo invitarlo ad aprire la bocca dicendo “AAA…”, rovesciare delicatamente il contenuto del cucchiaino (meglio iniziare con uno morbido, in silicone) sopra la sua lingua, nella parte centrale, e poi aiutarlo a chiudere le labbra (anche ponendovi sopra un dito, con gentilezza) mentre pronunciamo “MMM…”. Ecco dunque spiegata la valenza storica della sillaba “AM” mentre si imbocca un bimbo piccolo. Con il tempo il bambino imparerà ad utilizzare anche la parte posteriore della lingua e della bocca, masticherà con i premolari e aumenterà la forza della muscolatura masticatoria della guance, passando naturalmente ad una deglutizione di tipo adulto che prevede una spinta linguale rivolta verso il palato e nessun coinvolgimento della muscolatura di labbra e mento. La lingua, in posizione di riposo, sarà comodamente appiccicata al palato.
Come favorire una corretta maturazione delle strutture orali?
Questo cambiamento nella dinamica deglutitoria e posturale della lingua, che dovrebbe essere completo entro i 6-8 anni, talvolta non si verifica e allora si possono osservare, nella maggior parte dei casi, delle deformazioni al palato che è divenuto ogivale, cioè alto e stretto, perché la lingua non sale ad allargarlo; la situazione diventa ancor più marcata se il bambino è un respiratore orale perché gli spazi interni del naso, non essendo utilizzati, non crescono (ricordiamo che il “soffitto” della bocca, internamente, corrisponde al “pavimento” del naso). Anche le arcate dentarie possono venire modellate da una spinta deglutitoria scorretta (oltre al cibo deglutiamo la saliva, circa una volta al minuto nelle ore di veglia, quindi le spinte giornaliere risultano parecchie): l’ortodontista può riscontrare morso aperto (open byte), incisivi superiori spostati in avanti (overject) o un’asimmetria delle arcate se sono presenti spinte linguali con prevalenza laterale.
Cosa fare se la spinta linguale risulta disfunzionale?
La collaborazione fra dentista specializzato in ortodonzia e logopedista specializzato in tecniche miofunzionali è fondamentale. La deglutizione avviene prevalentemente in maniera automatica quindi il percorso di rieducazione logopedica della deglutizione potrà considerarsi completo solo quando il bambino, dopo aver rafforzato i suoi muscoli con specifici esercizi e aver appreso un nuovo modo di deglutire (sia la saliva che le diverse consistenze alimentari) sarà riuscito, grazie ad un percorso a tappe, a far diventare i nuovi movimenti facili e naturali. Importantissimo sarà il coinvolgimento dei genitori all’interno della routine di “ginnastica della bocca”, sia con la presenza e il sostegno, sia con la gratificazione del bambino per l’impegno dimostrato. Si tratta indubbiamente di un investimento di tempo ed energie ma con un riscontro molto importante in termini di benessere generale: è infatti ormai dimostrato e condiviso che i malposizionamenti della lingua nella cavità orale possono determinare meccanismi di compenso posturale di tutto il corpo, in particolare collo, spalle e schiena, per via delle relazioni che si instaurano tra strutture attigue.
Perché il mio bambino spinge con la lingua contro i denti quando deglutisce?
Perché si sporca tutto il viso quando mangia?
Perché il dentista mi consiglia una valutazione logopedica?
Perché pronuncia alcuni suoni in modo scorretto?
Perché ha spesso mal di testa?
Spesso i genitori si pongono queste domande notando una difficoltà deglutitoria del loro bambino o dietro suggerimento del medico Pediatra o del medico Odontoiatra.
È dunque importante sapere che la deglutizione è un meccanismo che va incontro ad una fisiologica maturazione, durante la quale avviene il passaggio dalla deglutizione infantile a uno schema deglutitorio adulto.
Qualora lo schema deglutitorio infantile dovesse permanere anche in età successive allo svezzamento, la deglutizione viene definita “atipica”, proprio per questo alterato comportamento neuromuscolare non in linea con l’età cronologica o, con altre parole, la presenza di movimenti linguali non corretti in rapporto all’età del bambino.
Questi movimenti non sono necessariamente dovuti ad una patologia ma possono essere provocati da “cattive abitudini” che si stabilizzano nel tempo o dalla persistenza delle meccaniche deglutitorie tipiche del lattante anche in età adulta.
Di norma il passaggio dalla “deglutizione infantile” alla “deglutizione adulta” è un processo che inizia verso i 18 mesi e si completa attorno agli 8-9 anni. Talvolta, è possibile che questa fisiologica maturazione del meccanismo di deglutizione non si verifichi e il bambino/ragazzo continui a mettere in atto una “deglutizione infantile” che prende il nome di “deglutizione atipica”.
Le cause e le conseguenze
Le cause più diffuse della deglutizione atipica sono:
- protratto uso del biberon o del ciuccio;
- succhiamento del dito;
- succhiamento di oggetti (lenzuolino, maglietta, penna, ecc…);
- rosicchiamento di unghie o pellicine;
- affezioni del cavo nasale che portano il bambino a stare o a respirare con la bocca aperta (riniti ricorrenti, ipertrofia delle adenoidi o dei turbinati, malattie respiratorie di tipo allergico, ecc…);
- perdita precoce di elementi dentali
Le conseguenze più evidenti di una “deglutizione atipica” sono rappresentate da alterazioni della morfologia del viso, alterazioni dell’occlusione dentale, alterazioni della respirazione e difetti di pronuncia, ma si possono avere anche modificazioni dell’assetto posturale talvolta anche accompagnate da cefalea, dolore a livello dell’articolazione temporo-mandibolare o della colonna vertebrale, stanchezza, alterazioni della qualità della voce, colite e altri sintomi apparentemente scollegati che per altro si rendono più evidenti con il passare degli anni.
Dare avvio al trattamento logopedico è fondamentale, in quanto intercettare precocemente le cause dello squilibrio muscolare oro-facciale permette di ridurre ed eliminare sul nascere i meccanismi di compenso che potrebbero alterare la funzionalità respiratoria, posturale, ortodontica, alimentare e articolatoria.
Percorso terapeutico
La terapia logopedica è caratterizzata da una serie di esercizi finalizzati al raggiungimento di una corretta postura della lingua modificando, in modo consapevole, i movimenti dei muscoli adibiti alla deglutizione. Al fine di automatizzare lo schema motorio corretto, gli esercizi devono necessariamente essere ripetuti più volte al giorno. Se il paziente è costante, in tre-quattro mesi (con sedute settimanali), potrà essere corretta attraverso:
- ripristino del tono dei muscoli più deboli fino a portare il complesso muscolare ad una condizione di equilibrio;
- separazione delle diverse fasi dell’atto deglutitorio, così da procedere separatamente alla loro rieducazione;
- fusione in un unico atto deglutitorio delle fasi singolarmente apprese;
- automatizzazione della “deglutizione adulta”.
Conclusa la terapia, si dovranno fare dei controlli periodici per qualche tempo come mantenimento e perfezionamento dei risultati ottenuti o per individuare eventuali esercizi supplementari. Evidenziamo la necessaria collaborazione della famiglia, indispensabile per far sì che il bambino elimini i movimenti errati, ma altamente automatici, per acquisire quelli nuovi e corretti. Il sostegno dei genitori sarà fondamentale anche per aiutarlo a liberarsi in maniera non traumatica delle “cattive abitudini” protratte (il ciuccio, il biberon, ecc).
QUALI SONO LE TAPPE EVOLUTIVE TIPICHE NELLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO?
- 2-5 mesi
Prime vocalizzazioni. Il bambino scopre la sua voce - 7- 9 mesi
Lallazione canonica e variata (serie di sillabe ripetute), fondamentale per l’associazione movimento-suono. Dai 9 mesi compaiono i gesti comunicativi deittici (indicare, mostrare, dare), lo sguardo è condiviso. - 12 mesi
Gesti comunicativi referenziali (es: fare ciao con la manina). Comparsa delle prime parole che si riferiscono ad oggetti o azioni di uso quotidiano (mamma, papà, acqua, …) - 17-20 mesi
Dopo le prime 50 parole, fase di esplosione del vocabolario, aumentano i verbi prodotti. Frequente combinazione gesto-parola - 24 mesi
Combinazione di due o tre parole (“Mamma mela”, “Bimbo palla”). - 24-33 mesi
Aumento delle frasi complesse, utilizzo dei funtori (articoli, preposizioni…) - 3 anni
Al momento dell’ingresso alla scuola dell’infanzia, il bambino dovrebbe saper costruire una frase completa dal punto di vista morfologico. Sono accettabili scorrettezze sulle costruzioni irregolari, che anzi segnano la fase di generalizzazione delle regole grammaticali. Possono esserci delle semplificazioni e degli errori sulle parole più difficili. - 4 anni
Secondo anno della scuola dell’infanzia, l’inventario fonetico è completo. Gli ultimi fonemi a comparire sono in genere la /r/, la /ʎ/ ‘gli’ di coniglio, la /ʃ/ ‘sci di scivolo’, le Zeta. La struttura morfosintattica è simile alla parlata dell’adulto e il vocabolario è in continua espansione. - 5 anni
Le abilità narrative sostengono sempre più la comunicazione del bambino, le storie lo affascinano. Nasce l’interesse verso i simboli grafici e la prescrittura. I bambini diventeranno capaci di leggere e scrivere entro la fine della seconda elementare.
SE SI RISCONTRA UN RITARDO NELLE FASI DI SVILUPPO QUALI SONO I PRIMI PASSI IMPORTANTI DA FARE?
Se si riscontra un ritardo rispetto alle tappe di sviluppo è importante parlarne subito con il proprio pediatra che , se necessario, potrà consigliare una valutazione logopedica ed eventualmente un inquadramento da parte del neuropsichiatra infantile.
CHE COS’È LA LOGOPEDIA?
La Logopedia è una disciplina sanitaria che si occupa di valutare e riabilitare eventuali problematiche di linguaggio, comunicazione, voce, fluenza, deglutizione e apprendimenti scolastici (lettoscrittura e calcolo).
QUANTO DURA MEDIAMENTE UN PERCORSO LOGOPEDICO?
La durata del percorso logopedico varia per ogni singolo caso e si può ipotizzare solo successivamente ad una valutazione. Generalmente è previsto un incontro settimanale e si richiede la collaborazione della famiglia per lo svolgimento di alcuni esercizi a casa, che vengono concordati con il terapeuta. Le tempistiche possono essere di medio-lungo termine ma tramite il lavoro in rete di logopedista, scuola e famiglia, si possono ottenere benefici sin dai primi mesi successivi all’inizio del percorso.
A QUALE ETÀ SI PUÒ INIZIARE LA TERAPIA LOGOPEDICA?
L’intervento precoce dà sicuramente risultati migliori in quanto esistono delle finestre temporali per la formazione di alcune abilità linguistiche, specialmente quelle grammaticali. Un intervento precoce fornisce strumenti utili fin da subito ed evita lo strutturarsi di modalità scorrette e disfunzionali.
Se si notano difficoltà nella comprensione delle richieste che si fanno al bambino, ci si può rivolgere per un consulto logopedico già dai due anni. Tra i 2-3 anni gli incontri sono condivisi (bimbo-logopedista-genitore) e si punta molto sul counseling al genitore per favorire comportamenti utili alla stimolazione linguistica. Dopo i tre anni le difficoltà di linguaggio si evidenziano maggiormente, il trattamento logopedico diventa più specifico.
QUALI SONO LE AREE DA INDAGARE PER IMPOSTARE UN ADEGUATO PERCORSO LOGOPEDICO?
Se in sede di anamnesi e osservazione non emergono degli elementi di difficoltà linguistica al di là della pronuncia delle parole, si può partire da un’indagine a livello fonetico-fonologico.
Se invece emergono ritardi del linguaggio o difficoltà espressive più sostanziali, scarsa attenzione alle storie, può essere necessaria una valutazione logopedica completa, che approfondisca anche il livello semantico-lessicale (parole che il bambino utilizza e conosce), il livello morfo-sintattico (costruzione di una frase e comprensione grammaticale), il livello narrativo (coordinazione di più frasi assieme).
Se il bambino ha 5/6 anni può essere utile valutare anche il livello metafonologico e i prerequisiti per la lettoscrittura. Per l’analisi della balbuzie è necessario un incontro con i genitori dal quale si concorda un percorso di valutazione calibrato sulle eventuali altre difficoltà linguistiche del bambino.
Se i motivi di accesso riguardano la voce (voce che si abbassa o diventa roca) o la spinta della lingua durante la deglutizione (in genere osservata dal dentista di riferimento perché i denti assumono una conformazione particolare) può essere sufficiente un solo incontro di valutazione/anamnesi (logopedista-bimbo-genitori).
Per la valutazione degli apprendimenti il percorso di base prevede:
- colloquio anamnestico di apertura cartella (con lo psicologo referente del caso o il neuropsichiatra);
- 2 incontri per il profilo cognitivo (con lo psicologo);
- 3 incontri su lettura-scrittura-calcolo (con il logopedista o lo psicologo specializzato);
- eventuale incontro di approfondimento linguistico (con il logopedista);
- eventuale visita neuropsichiatrica.
Cosa sono le difficoltà linguistiche?
Le difficoltà linguistiche possono essere di varia natura ad entità, legati a situazioni di ritardo generale nello sviluppo, ipoacusia, difficoltà motorie generali o difficoltà relazionali. Le difficoltà di linguaggio possono però presentarsi anche in bambini senza altre evidenti fatiche, con abilità cognitive nella norma e che hanno avuto una normale esposizione al linguaggio.
Nella maggior parte dei bambini il linguaggio si sviluppa in modo naturale sin dalla nascita. Secondo recenti studi tuttavia circa l’11- 13% dei bambini di età compresa tra i 18 e i 36 mesi presentano un ritardo nella produzione del linguaggio e, in alcuni casi, anche nella comprensione. Nel 30% dei casi questo ritardo linguistico non si risolve spontaneamente ed è necessaria una presa in carico logopedica mirata. Le difficoltà possono essere di varia natura: difficoltà nel pronunciare alcuni suoni e usarli nella giusta posizione all’interno della parola, difficoltà nell’automatizzare le sequenze motorie delle parole conosciute o difficoltà nell’ampliare la frase con gli elementi grammaticali utili a costruire un discorso e una narrazione. Possono presentarsi difficoltà nell’utilizzare il linguaggio a fini comunicativi, difficoltà di fluenza o altro ancora.
Le difficoltà di linguaggio interessano circa il 5-7% dei bambini tra i 3 e i 6 anni e si manifestano con quadri clinici molto diversi tra loro. Per questo motivo è necessaria un’attenta valutazione, alla quale può seguire un trattamento logopedico mirato.
Per approfondire puoi leggere questo articolo: Disturbo Primario del Linguaggio (DPL): cos’è?
Cosa sono le difficoltà fono-articolatorie?
Si tratta di fatiche nell’organizzazione del movimento corretto degli articolatori (mandibola, labbra, lingua e velo palatino). Può trattarsi di una debolezza muscolare dovuta ad abitudini scorrette (protratto uso del ciuccio, respirazione orale…) oppure di una fatica organizzativa più complessa. L’inventario fonemico di un bambino dovrebbe essere completo entro i 4 anni, con eccezione per i fonemi “R” e “Z” che potrebbero comparire anche a 5 anni.
Cosa sono le difficoltà fonologiche?
Le difficoltà fonologiche sono tipiche di quei bambini che, pur possedendo l’intera gamma di suoni tipici della propria lingua, commettono errori sui suoni quando parlano. Tra le difficoltà più frequenti si riscontrano omissioni, sostituzioni di suoni, inversioni, armonie. Ad esempio “stella” diventa “tella”, “cinema” diventa “cimana”), “topo” diventa “poto”.
Per approfondire puoi leggere questo articolo: Difficoltà fonologiche: quando e come intervenire?
Che cosa sono le difficoltà semantico-lessicali?
La semantica è la disciplina che studia l’attribuzione del significato, il lessico è l’insieme delle parole conosciute, potremmo dire “il vocabolario” compreso (lessico in ingresso) e quello utilizzato (lessico in uscita). Le difficoltà semantico-lessicali corrispondono alla difficoltà di recuperare, nel contesto opportuno e con tempi adeguati, parole specifiche necessarie per esprimere un particolare concetto. Non è quindi la pronuncia delle parole a risultare inappropriata, ma la capacità di “pescare” adeguatamente dal magazzino lessicale–semantico che ognuno di noi dovrebbe possedere, i termini e i concetti più corretti per esprimere i pensieri.
Che cosa sono le difficoltà morfosintattiche?
La morfosintassi è l’insieme delle regole grammaticali che permettono di organizzare le parole in una frase di senso compiuto (reggenze dei verbi, concordanze nome-aggettivo, corretto utilizzo di preposizioni, pronomi e congiunzioni). Al momento dell’ingresso alla scuola dell’infanzia un bambino dovrebbe già combinare gli elementi sintattici in modo da ottenere una frase minima completa (soggetto, verbo, complemento oggetto con relativi articoli). Entro i 36 mesi un bambino con sviluppo morfosintattico fisiologico dovrebbe completare la struttura frasale usando appropriatamente sia articoli che preposizioni. Quando un bambino fatica ad organizzare e/o comprendere una frase in maniera corretta e completa per la sua età sono necessarie delle stimolazioni logopediche mirate a favorire una progressione graduale delle sue abilità linguistiche.
Cosa sono le difficoltà narrative?
L’abilità di narrare, cioè raccontare, inizia a svilupparsi dai 4 anni circa e si arricchisce sempre più grazie all’esposizione ai racconti e ai libri. Le difficoltà narrative nascono quando il contenuto verbale del racconto di un bambino risulta inadeguato rispetto alla sua ricchezza di pensiero. Il discorso appare organizzato in proposizioni accostate, privo di subordinate e soprattutto mancante di nessi logico-causali e temporali, che renderebbero più chiaro il discorso.
Che cos’è la balbuzie?
La balbuzie è un disordine della parola, per cui la fluidità è interrotta da ripetizioni involontarie e prolungamenti di suoni, sillabe, parole o frasi. La sintomatologia varia da molto lieve, con una balbuzie appena percepibile solo in alcuni contesti, ad una balbuzie di grave entità che si pone come intralcio alle normali relazioni comunicative.
Per approfondire puoi leggere l’articolo La balbuzie nei bambini: come affrontarla?
Il trattamento logopedico negli adulti può essere utile per correggere disturbi di diversa natura: problemi di voce (disfonie, raucedine, abbassamenti di voce, afonia), di fluenza (balbuzie), di parola (recupero delle abilità comunicative dopo traumi come ictus o altre patologie), difetti di pronuncia o difficoltà di deglutizione.
La logopedia gioca un ruolo fondamentale anche nella rieducazione della voce in seguito ad affaticamento vocale, cui sono particolarmente soggetti i professionisti che utilizzano la propria voce come principale strumento di lavoro: insegnanti, avvocati, imprenditori, conduttori… e così via possono con la logopedia imparare a gestire in maniera ottimale la loro voce per non incorrere in problemi di disfonia.